Patologie Neurodegenerative

Il morbo di Alzheimer e il Parkinson rivestono un ruolo cruciale nella prevenzione della salute orale poiché compromettono le capacità cognitive e motorie, rendendo difficile mantenere una corretta igiene. Rispetto ad altre malattie neurodegenerative, il loro impatto diretto sull’autonomia quotidiana incide più precocemente sulla cura del cavo orale

 

 

MORBO DI ALZHEIMER

Il Morbo di Alzheimer è la forma più comune di demenza: una malattia neurodegenerativa che colpisce milioni di persone nel mondo. Arriva in modo silenzioso, distruggendo progressivamente le cellule del cervello, portandosi via ricordi, volti, parole e identità.

All'inizio è una dimenticanza, un nome che sfugge, una parola che non arriva, ma col tempo, il disorientamento e la perdita della memoria, diventano i primi segnali tangibili di una battaglia profonda e ancora senza cura.

Se osservassimo il cervello di coloro affetti da Alzheimer, noteremo neuroni sofferenti, circondati da matasse di una proteina dannosa, la beta-amiloide, a loro volta accerchiate da cellule infiammatorie, anch'esse pericolose. La proteine beta-amiloide pone le basi per processi importanti nella patogenesi dell'Alzheimer: fosforilazione di tau, infiammazione, stress ossidativo che porta a neurodegenerazione.

A causa di ciò i neuroni non riescono più a comunicare in modo corretto, fino a rendere sempre più difficile ricordare persino i piccoli gesti compiuti l'attimo prima.

 

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) i casi di demenza nel mondo sono oltre 55 milioni e si stima che, per via dell’aumento progressivo dell’età media della popolazione, questo numero sarà destinato a crescere, raggiungendo i 78 milioni entro il 2030. Di tutti i casi il 60-80% è rappresentato dalla malattia di Alzheimer. L'OMS stima che la malattia di Alzheimer e le altre demenze rappresentano la settima causa di morte nel mondo.

 Sono maggiormente colpite le donne con rapporto di 1:2, si stima che 11,4 milioni siano uomini e 21 milioni donne.

 

Come si diagnostica il morbo Alzheimer?

La diagnosi di Alzheimer oggi è un processo complesso che coinvolge una valutazione multidisciplinare, inclusi esami clinici, test cognitivi e, in alcuni casi, tecniche di imaging cerebrale. Non esiste un unico test definitivo, ma una combinazione di questi elementi permette di individuare la presenza della malattia. La diagnosi è divisa in due parti:

  • CLINICA : il soggetto viene sottoposto al Mini Mental State Examination (MMSE) che è un test neuropsicologico usato per valutare lo stato cognitivo di un individuo. Il MMSE mira a valutare le aree cognitive di:

    • Orientamento: temporale (data, mese, anno, giorno della settimana) e spaziale (luogo, città, ospedale). 

    • Registrazione: Capacità di ricordare e ripetere semplici parole. 

    • Attenzione e calcolo: Capacità di svolgere semplici calcoli (ad esempio conteggi in serie). 

    • Rievocazione: Capacità di ricordare le parole registrate. 

    • Linguaggio: Capacità di nominare oggetti, ripetere frasi e comprendere istruzioni. 

    • Prassia costruttiva: Capacità di disegnare figure

    Test MMSE è composto da undici domande e richiede solo 5-10 minuti per la somministrazione, il che lo rende molto pratico da usare. il punteggio totale varia da 0 a 30 Qualsiasi punteggio uguale o maggiore a 24/30 indica facoltà cognitive nella norma. Man mano che si scende al di sotto di questo livello si inizia a indicare un deterioramento cognitivo, che può essere grave se il punteggio è ≤9 punti, moderato tra i 10 e i 18 punti o lieve tra i 19 e i 23 punti,  tuttavia, tale limite è influenzato da età e scolarità, per cui spetterà al medico fare una corretta diagnosi. Il MMSE ha una sensibilità pari a 0.81 e una specificità pari a 0.8.

  • DIAGNOSTICA:  nel diagnosticare la malattia di Alzheimer sono indispensabili dei biomarcatori, i quali sono indice della patogenicità della malattia. I mezzi a nostra disposizione sono:

    • Rachicentesi andando a ricercare nel liquor la presenza del peptide β-amiloide e il grado di fosforilazione di tau.

    • PET amiloide (Tomografia a emissione di positroni dell’Aβ-amiloide) è una metodica che consente di valutare in vivo la deposizione di amiloide nel cervello di un soggetto, considerata un marcatore affidabile di malattia di Alzheimer. La PET amiloide ha guadagnato consensi nella pratica clinica, ma ancora mancano dati rigorosi sulla sua reale utilità e sul rapporto costo/efficacia.

Fattori di rischio

Ad oggi sono considerati fattori di rischio per lo sviluppo della malattia di Alzheimer: stile di vita scorretto, malnutrizione, danni cerebrali, basso livello d'istruzione, depressione, isolamento sociale, inattività cognitiva, inquinamento dell'aria.

Recentemente è stato preso in considerazione un nuovo fattore di rischio: scarsa igiene orale. E' stato visto che la maggior parte delle persone affette da Morbo di Alzheimer, presentano tale condizione. 

Una scarsa igiene orale può essere sia conseguenza del declino cognitivo, ma è stato costatato che le malattie del cavo orale, in particolare la parodontite, sono fattori di rischio legati all'aggravamento della neuro-infiammazione che può risultare poi in uno stato pro-infiammatorio cronicamente elevato.

Uno studio molto recente ha indagato la possibile correlazione tra salute orale e Morbo di Alzheimer.                                         

E' stata condotta una ricerca sistematica su database come: PubMed, Embase e Web of Science. Sono stati valutato 1962 studi e solo 17 hanno mostrato una possibile correlazione tra salute orale e malattia di Alzheimer. Gli studi inclusi nella review sistematica sono stati classificati a seconda di chi sembra essere il responsabile dell'infiammazione.

A seguito di ciò i ricercatori hanno sviluppato quattro teorie, suddivise in base al possibile responsabile dell’insorgenza e del peggioramento di tale patologia. Il comune denominatore di tali teorie è l'infiammazione che si sviluppa e che contribuisce al danno neuronale. Esse si basano rispettivamente sul:

RUOLO DEI PATOGENI ORALI 

Otto dei diciassette studi hanno mostrato associazione tra patogeni orali e malattia di Alzheimer. 

  • Nello studio di Stein et al.  è stato osservato che, al momento della valutazione iniziale, i pazienti con Alzheimer mostravano livelli significativamente più alti di anticorpi contro i batteri parodontali intermedia e F. nucleatum nel sangue rispetto ai soggetti di controllo senza Alzheimer. Questo indica che già prima della comparsa dei sintomi cognitivi, i pazienti con Alzheimer avevano una risposta immunitaria aumentata verso questi batteri della parodontite.

  • Maurer et al. hanno studiato un possibile legame tra l’infestazione batterica della bocca, la salute orale e l’Alzheimer. Hanno scoperto che batteri orali resistenti, come actinomycetemcomitans, P. gingivalis e F. nucleatum, erano presenti sulla superficie dei molari superiori nei pazienti con Alzheimer. Questi batteri formavano un biofilm complesso. Gli autori hanno ipotizzato che le tossine prodotte da questi batteri possano innescare processi infiammatori che si estendono alle zone vicine del sistema nervoso centrale, come la corteccia entorinale e l’ippocampo, aree coinvolte nell’insorgenza dell’Alzheimer. Questo meccanismo potrebbe anche spiegare la perdita dell’olfatto osservata nei pazienti con Alzheimer, dato che la corteccia entorinale è legata alla percezione degli odori.

  • Laugisch et al. hanno concluso dai loro studi che i batteri parodontali potrebbero entrare nel cervello e stimolare una risposta immunitaria locale. Tuttavia, i loro dati non supportano un’associazione specifica tra l’infezione parodontale e l’insorgenza dell’Alzheimer in pazienti fino a 70 anni di età e negli stadi precoci della malattia. Inoltre, livelli simili di infezione parodontale sono stati riscontrati sia nei pazienti con Alzheimer sia in quelli con altre forme di demenza.

  • Due studi post-mortem condotti da Rivière et al. e Poole et al. hanno confrontato il microbioma presente nel tessuto cerebrale di pazienti affetti da Alzheimer con quello di pazienti cognitivamente normali. Rivière et al. hanno osservato che nel cortex del lobo frontale del cervello, i treponemi — un gruppo di batteri associati alla parodontite, tra cui amylovorum, T. denticola, T. maltophilum, T. medium, T. pectinovorum, T. socranskii e T. vincentii — colonizzavano più frequentemente il cervello dei pazienti con Alzheimer rispetto ai soggetti di controllo.

  • Poole et al. hanno rilevato la presenza di lipopolisaccaridi (LPS) derivanti da P. gingivalis (abbreviato pg-LPS) (Porphyromonas gingivalis), un batterio parodontale, nei tessuti cerebrali analizzati poco dopo la morte. Gli autori hanno proposto che questi lipopolisaccaridi possano svolgere un ruolo nell’infiammazione cerebrale associata alla malattia di Alzheimer. Nei tessuti cerebrali dei soggetti di controllo non affetti da Alzheimer, invece, non è stata rilevata alcuna traccia di pg-LPS. Questo studio conferma quindi che, nei pazienti con Alzheimer, i lipopolisaccaridi provenienti dai batteri parodontali possono penetrare nel cervello durante la vita

RUOLO DEI MEDIATORI INFIAMMATORI

Cinque studi hanno analizzato il ruolo dei mediatori infiammatori prodotti nella bocca nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer (AD). In particolare, l’attenzione si è concentrata su citochine pro-infiammatorie come:

 

  • Interleuchina-1 (IL-1)

  • Interleuchina-6 (IL-6)

  • Fattore di necrosi tumorale-alfa (TNF-α)

Queste citochine, quando sono presenti in quantità elevate, potrebbero rappresentare un collegamento biologico tra cattiva salute orale e Alzheimer, perché sono in grado di: attraversare la barriera emato-encefalica (la barriera che normalmente protegge il cervello dalle sostanze dannose presenti nel sangue), attivare le cellule microgliali del cervello, che sono cellule immunitarie residenti nel sistema nervoso centrale. La loro attivazione cronica è coinvolta nei processi neurodegenerativi tipici dell’AD.

 

La neuroinfiammazione è un processo fondamentale nella neurodegenerazione tipica della malattia di Alzheimer (AD), caratterizzata da un circolo vizioso di infiammazione e distruzione cellulare. La presenza di lipopolisaccaridi (LPS), molecole tossiche prodotte da alcuni batteri parodontali come Treponema denticola, Tannerella forsythia e Porphyromonas gingivalis, nel cervello è stata associata a un aumento dell’espressione di importanti citochine pro-infiammatorie quali l’interleuchina 1 beta (IL-1β), l’interleuchina 6 (IL-6) e il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α).

Contemporaneamente si osserva una diminuzione dell’espressione di citochine anti-infiammatorie, come l’interleuchina 10 (IL-10). Questi dati suggeriscono che l’interazione tra questi marcatori infiammatori possa giocare un ruolo nello sviluppo e nella progressione della malattia di Alzheimer.

Tuttavia, mentre sembra che i batteri orali e i mediatori infiammatori possano amplificare una reazione a catena infiammatoria, al momento non esiste una prova chiara e definitiva di un’associazione diretta tra i mediatori infiammatori della bocca e la malattia di Alzheimer. Per questo motivo, sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio il rapporto tra i principali meccanismi infiammatori e per indagare in modo dettagliato le interazioni tra la parodontite e l’AD.

RUOLO DEGLI DEGLI ALLELI APOE- ε4

APOE (Apolipoproteina E) è un gene che codifica per una proteina coinvolta nel trasporto dei lipidi (grassi) nel sangue e nel cervello. Esistono diverse varianti di questo gene, chiamate alleli: i principali sono APOE-ε2, APOE-ε3 e APOE-ε4.

 

L’allele APOE-ε4 è il più fortemente associato a un aumento del rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. Le persone che portano una o due copie dell’allele APOE-ε4 hanno:

  • Un rischio maggiore di insorgenza precoce e più frequente di Alzheimer.

  • Un accumulo più rapido della proteina beta-amiloide (Aβ) nel cervello, che forma le placche caratteristiche della malattia.

  • Una maggiore infiammazione e alterazioni nel metabolismo cerebrale.

Tuttavia, non tutti i portatori di APOE-ε4 sviluppano l’Alzheimer, e l’assenza di questo allele non esclude la malattia, ma la presenza di APOE-ε4 rappresenta un importante fattore di rischio genetico. Studi recenti suggeriscono anche che l’interazione tra APOE-ε4 e fattori ambientali o infettivi (come l’infiammazione orale o la presenza di batteri parodontali) potrebbe modulare il rischio di Alzheimer.

Pochi studi che hanno esaminato insieme i fattori genetici (come l’allele ApoE4) e quelli dentali (come il numero di denti) come possibili segnali predittivi della malattia di Alzheimer, hanno trovato che:

  • Se una persona ha almeno un allele ApoE4 e meno di otto denti, è più probabile che sviluppi un lieve problema di memoria.

  • Tuttavia, tra questi due fattori, solo la presenza dell’allele ApoE4 è risultata in modo significativo associata a un aumento del rischio di sviluppare l’Alzheimer vero e proprio.

In altre parole, avere pochi denti e l’allele ApoE4 insieme aumenta la probabilità di avere problemi di memoria leggeri, ma solo l’allele ApoE4 ha un legame chiaro e significativo con la malattia di Alzheimer.

I ricercatori sottolineano che avere pochi denti può dipendere da infiammazioni gengivali, che a loro volta possono essere causate da batteri della bocca.

RUOLO DEL PEPTIDE β-AMILOIDE

Il peptide beta-amiloide (Aβ) è una proteina che si accumula nel cervello dei pazienti con malattia di Alzheimer (AD). Questi accumuli formano delle placche amiloidi, che sono considerate una delle principali caratteristiche patologiche della malattia. Nei pazienti affetti da parodontite grave, cioè un’infezione seria delle gengive, si osservano livelli più alti di ABP nel sangue.

Il passaggio del peptide beta-amiloide (ABP) dal flusso sanguigno al cervello potrebbe spiegare l’associazione osservata tra la parodontite e la malattia di Alzheimer (AD). Studi hanno evidenziato che i pazienti con AD mostrano concentrazioni plasmatiche di ABP più elevate, e che la presenza di parodontite può influenzare questo legame tra ABP e AD.

In particolare, la parodontite è stata collegata all’accumulo di Aβ in aree cerebrali distanti, considerate particolarmente sensibili allo sviluppo dell’AD.

  • Montoya et al. hanno mostrato che i pazienti con parodontite grave e AD presentavano livelli plasmatici più alti di ABP, e che la parodontite potrebbe modulare la relazione tra ABP e AD. Questo passaggio di ABP dal sangue al cervello potrebbe quindi spiegare perché in precedenza era stata trovata un’associazione tra parodontite e AD.
  • Il ruolo dell’ABP è stato confermato anche da uno studio di Kamer et al., che ha rilevato come persone cognitive sane ma affette da parodontite accumulassero maggiormente Aβ nel cervello rispetto a individui con una salute orale normale .

Essi hanno osservato che la parodontite è collegata all’accumulo di placche amiloidi in specifiche zone cerebrali dove queste placche si concentrano tipicamente nei pazienti con AD. Tutte queste evidenze suggeriscono che una cattiva salute orale può aumentare il rischio di accumulo di amiloide nel cervello.

Tuttavia, rimane ancora incerto se le concentrazioni elevate di ABP nel cervello siano la causa diretta della neurodegenerazione o se siano un effetto secondario della malattia orale.

Gli studi finora considerati hanno analizzato solo pazienti che già avevano AD, quindi è necessario attendere ricerche su soggetti che all’inizio non hanno AD ma che poi la sviluppano nel tempo, per comprendere meglio questa relazione.

Tra le ipotesi considerate, quella che coinvolge il peptide beta-amiloide (Aβ) sembra essere la meno probabile, mentre la teoria basata sul ruolo dei patogeni orali risulta la più convincente.

E' importante sottolineare che questa questo studio ha presentato non pochi limiti.

Nonostante la  maggior parte degli studi inclusi in questa revisione sistematica ha soddisfatto i criteri di qualità descritti nella qualificazione MINORS, con una qualità complessiva che può essere definita da discreta a buona, ci sono alcune limitazioni importanti da considerare. Innanzitutto, gli studi analizzati presentavano differenze significative nel disegno dello studio (alcuni erano trasversali, altri prospettici), nel protocollo adottato, nelle dimensioni del campione e soprattutto nel fatto che non sempre era chiaro se il problema orale fosse presente prima dell’insorgenza del problema cognitivo.

Inoltre, la definizione di salute orale variava molto tra i diversi studi, rendendo difficile un confronto diretto e sistematico tra i risultati. Per questo motivo, sarebbe molto utile avere una definizione standardizzata e condivisa di salute orale.

Un’ulteriore limitazione è che non tutti gli studi hanno confrontato pazienti con Alzheimer con un gruppo di controllo sano. Spesso, infatti, l’età media dei pazienti con AD era molto più alta rispetto a quella dei controlli, e in molti studi il gruppo di controllo era anche numericamente più piccolo.

Prevenzione

Non vi è ancora una correlazione certa tra patogeni presenti nel cavo orale ed insorgenza di Alzheimer ma  la perdita dell’igiene orale, porta ad un aggravamento ulteriore dello stato infiammatorio generale.

È fondamentale intervenire sin dalle prime fasi della malattia con sedute di igiene orale professionale ed educazione a una corretta igiene domiciliare.

  1. Fase iniziale (lieve deterioramento cognitivo)

Obiettivo: Stabilire una routine e prevenire complicazioni future.

  • ๐Ÿชฅ Educazione all’igiene orale finché il paziente è ancora collaborante: spazzolino elettrico, istruzioni semplici, uso corretto del filo o scovolini.

  • ๐Ÿ‘ฉ‍โš•๏ธ Visite odontoiatriche regolari ogni 6 mesi per controlli e igiene professionale.

  • ๐Ÿฆท Trattamenti preventivi: applicazione di fluoro topico, sigillatura dei solchi (soprattutto nei pazienti più giovani), valutazione di protesi ben tollerate.

  • ๐Ÿฌ Controllo dell’alimentazione: evitare cibi zuccherati, favorire cibi morbidi ma non appiccicosi.

  • โœ… Semplificazione dei dispositivi di igiene: spazzolini con impugnatura larga, dentifrici delicati, collutori a basso contenuto di alcol.

2. Fase intermedia

Obiettivo: Mantenere la salute orale con l’aiuto di caregiver.

  • ๐Ÿ‘จ‍๐Ÿ‘ฉ‍๐Ÿ‘ง‍๐Ÿ‘ฆ Coinvolgimento del caregiver nell’igiene quotidiana (aiuto nello spazzolamento, promemoria visivi, routine guidata).

  • ๐Ÿ›๏ธ Ridurre l’invasività: evitare cure odontoiatriche complesse, preferire trattamenti semplici e veloci.

  • ๐Ÿ” Controlli frequenti e brevi: ogni 3–6 mesi per intercettare carie, gengiviti o lesioni da protesi.

  • ๐Ÿฆท Attenzione a protesi mobili: rischio di ingestione o perdita; vanno controllate regolarmente.

 

3.Fase avanzata

Obiettivo: Evitare infezioni, dolore e complicanze.

  • ๐Ÿฆ  Prevenzione delle infezioni orali: mantenere la bocca pulita anche con salviette o spazzolini morbidi.
  • ๐Ÿ˜” Gestione del dolore e delle lesioni: spesso il paziente non è in grado di riferire sintomi → osservare segnali indiretti (rifiuto del cibo, irritabilità).
  • ๐Ÿฉบ Approccio palliativo: se il paziente è non collaborante, si punta alla gestione del dolore e all’eliminazione dei focolai infettivi, evitando interventi complessi.

MORBO DI PARKINSON

Il Morbo di Parkinson (PD) è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce principalmente il controllo motorio a causa della degenerazione dei neuroni dopaminergici nella substantia nigra del cervello (mesencefalo), parte del sistema dei gangli della base.

 โ I neuroni dopaminergici della substantia nigra parte del mesencefalo, specificatamente nella pars compacta, sono i principali responsabili. Questi neuroni producono dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per la regolazione del movimento.

Con la loro degenerazione, si riduce la dopamina disponibile nel corpo striato (nel putamen) ,alterando i circuiti motori e causando i sintomi tipici del Parkinson:

  • tremore a riposo
  • rigidità muscolare
  • bradicinesia (lentezza nei movimenti)
  • instabilità posturale

EZIOLOGIA

Di natura eterogenea e multifattoriale, il morbo di Parkinson segue un complesso modello di ereditarietà che abbraccia lo spettro eziologico che va dalla malattia monogena (in una piccola percentuale di individui colpiti) all'eredità poligenica (nella stragrande maggioranza dei casi) in cui i fattori di rischio ambientali e genetici interagiscono per indurre la patologia della malattia.

La PD monogenica, ovvero la PD causata da una mutazione definita in un singolo gene, costituisce circa il 5-10% del totale dei casi di Parkinson. Le mutazioni in diversi geni sono state identificate come causali della PD monogena con diversi modelli di ereditarietà tra cui autosomico dominante, autosomico recessivo e legato all'X.

Il gene della chinasi ripetuta 2 (LRRK2ricca di leucina, uno dei fattori genetici più frequenti nella malattia, che rappresentano il 5-6% dei casi familiari e l'1-2% della PD sporadica con variabilità nella prevalenza tra le diverse popolazioni. Il gene LRRK2 codifica una proteina multifunzionale con attività di chinasi e GTPasi, con potenziale ruolo nel controllare le vie immunitarie favorendo l'infiammazione sostenuta e la successiva neurodegenerazione nei pazienti con PD.

Il gene SNCA codifica alfa-sinucleina, il segno distintivo istopatologico della PD. Diverse mutazioni e riarrangiamenti genetici nella SNCA sono stati collegati alla PD autosomica dominante. È stato dimostrato che l'alfa-sinucleina ha un impatto sia sulle risposte immunitarie innate che su quelle adattive in un modo che favorisce lo sviluppo della neurodegenerazione e del parkison. Agendo come ligando dei recettori TLR-2 e TLR4 o tramite riprogrammazione metabolica, l'alfa-sinucleina è responsabile del lancio di una risposta proinfiammatoria della microglia che porta alla scomparsa neuronale probabilmente attraverso il rilascio di mediatori neurotossici o la fagocitosi delle cellule neuronali nella regione.

I fattori ambientali non causano direttamente la malattia, ma possono contribuire al rischio, soprattutto negli individui geneticamente predisposti. Questi agenti possono influire sul metabolismo neuronale, generare stress ossidativo, alterare la funzione mitocondriale e favorire la neurodegenerazione.

Tra questi fattori abbiamo pesticidi e insetticidi, infatti studi epidemiologici hanno mostrato che chi è esposto regolarmente ha un rischio aumentato fino a due volte di sviluppare Parkinson.

La combinazione tra esposizione cronica a tossine e una predisposizione genetica può portare alla degenerazione progressiva dei neuroni dopaminergici. Prevenzione, sorveglianza e regolazione delle sostanze tossiche sono strumenti chiave per ridurre il rischio a livello di popolazione.

 

EPIDEMIOLOGIA

La malattia di Parkinson (MP) è la seconda malattia neurodegenerativa più comune dopo l’Alzheimer. Colpisce milioni di persone nel mondo ed è in costante aumento, soprattutto nei paesi con popolazione anziana.

 

L’epidemiologia del morbo di Parkinson mostra marcate variazioni di tempo, geografia, etnia, età e sesso.

L'incidenza, la prevalenza e il rischio di mortalità della malattia di Parkinson sono più elevati negli uomini che nelle donne di un rapporto di circa 1·4:1,62 La stima del rapporto di prevalenza è rimasta stabile negli ultimi due o tre decenni. Le ipotesi includono una maggiore esposizione degli uomini a fattori di rischio ambientali avversi e il ruolo protettivo degli ormoni femminili.

 

 

 

Con l'aumento della sopravvivenza in età avanzata, il numero assoluto di persone con malattia di Parkinson è aumentato e continuerà ad aumentare.

 

Rispetto all'Europa e al Nord America, è stata stimata che la prevalenza della malattia di Parkinson sia inferiore in Africa (in particolare nell'Africa subsahariana) o inferiori in Asia e simili in America Latina. Gli studi sui migranti mostrano che le stime della prevalenza della malattia di Parkinson sono considerevolmente più alte nelle persone di origine africana che vivono negli Stati Uniti rispetto agli africani neri che risiedono nell'Africa subsahariana. Allo stesso modo, la prevalenza e l'incidenza del morbo di Parkinson per gli uomini giapponesi-americani che vivono alle Hawaii sono più alti che per gli uomini giapponesi che vivono in Giappone. Questo è strettamente correlato al concetto dei fattori ambientali, perché si è più esposti al rischio

PARKINSON DAL PUNTO DI VISTA ODONTOIATRICO

La malattia di Parkinson ha un impatto significativo sulla salute orale, influenzando vari aspetti della funzione e dell’igiene del cavo orale. Nonostante le prove cliniche di scarsa salute orale e igiene nei pazienti con PD, la bocca è spesso trascurata sia dai pazienti che dalla comunità medica, che generalmente si concentrano su disturbi motori o psichiatrici considerati più onerosi. Tuttavia, la salute orale è in una relazione bidirezionale con la salute generale: uno stato indebolito che innesca un declino della qualità della vita. Il cavo orale è essenziale per le funzioni quotidiane come mangiare, deglutire, parlare e socializzare. Queste funzioni coinvolgono l'azione dei denti, delle labbra, delle guance, della lingua e dei muscoli oro-facciali-faringei. Lo squilibrio causato dai deficit motori (controllo muscolare volontario e involontario), non motori e sensoriali nella PD porta a una varietà di manifestazioni oro-facciali. Disturbi del linguaggio, disfagia e sbavare sono i disturbi oro-facciali più frequentemente descritti nella PD durante tutto il decorso della malattia. Almeno uno di questi sintomi è stato trovato in più della metà (65%) di una coorte di 419 pazienti francesi con PD, mentre una combinazione di sintomi era presente in un terzo di essi. Oltre le manifestazioni oro-facciali possono anche precedere l'insorgenza di sintomi motori e presentare caratteristiche: scialorrea, tremore della lingua, sintomi assiali della parte superiore del corpo o anche disfagia in rare occasioni.

Indipendentemente dalla durata della malattia, la bavatura, l'appetito/peso, la parola, la perdita dell'olfatto/gusto e i disturbi della deglutizione compaiono tutti nell'elenco dei "24 sintomi/condizioni più fastidiosi correlati alla PD" come valutato dai pazienti stessi. In particolare, la perdita dell'olfatto/gusto è una delle 5 lamentele più diffuse nella prima PD (<6 anni), mentre lo sbavamento è una delle 5 lamentele più diffuse nella tarda PD (≥6 anni).

Tra i vari problemi che troviamo correlati alla malattia del Parkinson abbiamo:

La scialorrea, comunemente indicata come sbavatura, è definita come saliva eccessiva oltre il margine del labbro. La scialorrea è causata da ipersalivazione o da problemi con la rimozione della saliva considerati anormali dopo i 4 anni. È una manifestazione neurologica comune di molte malattie neurologiche. La sbavatura è molto problematica e può portare a puro imbarazzo, isolamento sociale, depressione, infezione della pelle, cattivo odore e polmonite da aspirazione. L'accumulo di secrezioni pone i pazienti a un aumentato rischio di aspirazione dei prodotti, e quindi può portare a una significativa morbilità e mortalità associate alla polmonite da aspirazione nei pazienti con PD. La polmonite da aspirazione comporta circa il 20% di mortalità nei pazienti con malattia di Parkinson. In un'analisi comune di più studi che valutano la logopedia per la gestione della scialorrea, la stragrande maggioranza ha mostrato una diminuzione della bava, ma non ha ottenuto effetti a lungo termine.

Le terapie farmacologiche orali per la scialorrea sono state spesso il trattamento principale, ma l'uso di questi farmaci è spesso limitato da effetti collaterali significativi ed eterogenei, avvertimento della scatola nera negli anziani e beneficio subottimale data la popolazione per lo più anziana in PD e la compromissione cognitiva comorbidità-correlata alla malattia, i pazienti sono molto più inclini agli effetti collaterali cognitivi degli anticolinergici. I pazienti con Parkinson sembrano avere uno stato orale significativamente indebolito, con malattie parodontali e carie dentali, che porta a denti più mobili e mancanti. I pazienti riferiscono più disagio dolore, secchezza delle fauci, problemi alle denti, nonché difficoltà di masticazione (legate ai denti o alla funzione masticatoria) e disfagia. Questa significativa disuguaglianza di salute orale è associata a difficoltà nell'affrontare il trattamento odontoiatrico presso lo studio dentistico e a una ridotta capacità di mantenere livelli adeguati di assistenza orale domiciliare quotidiana, derivanti da disturbi motori e non motori.

 

๐Ÿ›ก๏ธ STRATEGIE DI PREVENZIONE ORALE

 Educazione all’igiene orale

๐Ÿ”น Spiegare in modo semplice e visivo le tecniche di spazzolamento
๐Ÿ”น Prediligere spazzolini elettrici con impugnatura ergonomica
๐Ÿ”น Insegnare tecniche semplificate, come lo “spazzolamento a quadranti”

 Igiene quotidiana

๐Ÿชฅ Spazzolamento almeno 2 volte al giorno con dentifricio al fluoro
๐Ÿงต Uso del filo interdentale o, se difficile, degli scovolini o irrigatori orali
๐Ÿ‘… Pulizia della lingua per ridurre il carico batterico e la sensazione di bocca impastata

 Supporti adattati

๐Ÿช’ Spazzolini con impugnature ingrossate (manici in gomma, manici adattabili con schiuma)
โšก Spazzolini elettrici o a ultrasuoni per pazienti con ridotta coordinazione
๐Ÿงด Collutori antisettici (es. alla clorexidina – cicli brevi, su indicazione professionale)

 Stimolazione salivare (in caso di xerostomia)

๐Ÿšฐ Bere spesso acqua a piccoli sorsi
๐Ÿฌ Masticare gomme senza zucchero o caramelle alla xilitolo
๐Ÿ’ฆ Uso di saliva artificiale o gel lubrificanti
๐Ÿšซ Evitare alcol, caffeina e tabacco, che seccano la bocca

 Gestione della scialorrea

๐Ÿ’Š Consultare il neurologo per terapia farmacologica (es. atropina in gocce, tossina botulinica)
๐Ÿ‘„ Esercizi di deglutizione
๐Ÿง˜‍โ™€๏ธ Fisioterapia oro-facciale

 Controlli odontoiatrici regolari

๐Ÿ“† Ogni 3–6 mesi, anche in assenza di dolore
๐Ÿงฝ Rimozione professionale di placca e tartaro
๐Ÿ” Monitoraggio di protesi, impianti e denti mobili

๐Ÿฅ— Nutrizione e alimentazione

๐Ÿฒ Dieta morbida per evitare traumi in pazienti con disfagia
๐Ÿšซ Evitare zuccheri semplici per ridurre il rischio di carie
๐Ÿ’ง Idratazione adeguata

 Collaborazione interdisciplinare

๐Ÿ‘จ‍โš•๏ธ Odontoiatra per diagnosi e cura
๐Ÿง‘‍๐Ÿ”ฌ Igienista dentale per follow-up regolari
๐Ÿ—ฃ๏ธ Logopedista per disfagia e controllo della salivazione
๐Ÿง  Neurologo per l’ottimizzazione della terapia antiparkinsoniana
๐Ÿ‘จ‍๐Ÿ‘ฉ‍๐Ÿ‘ง‍๐Ÿ‘ฆ Caregiver/formatori familiari per il supporto quotidiano